sabato 19 luglio 2014

HOME SWEET HOME

Un frammento da Perché vuoi essere felice se puoi essere normale? di Jeanette Winterson
Il filosofo rumeno Mircea Eliade parla della casa – in senso ontologico, non solo geografico – e, con una bella espressione, la definisce “il centro del reale”.
La casa, ci dice, è l’intersezione di due linee: una verticale, l’altra orizzontale. La linea verticale ha il paradiso, o l’aldilà, a una estremità, e il mondo dei morti dall’altra. Il piano orizzontale è costituito dai traffici di questo mondo, che non si fermano mai: i nostri traffici e quelli degli altri che si affaccendano attorno a noi.

La casa è molto più di un rifugio: la casa è il nostro centro di gravità.
I popoli nomadi imparano a portare con sé le loro case, e gli oggetti familiari vengono ridisposti o ricostruiti di luogo in luogo.
Quando traslochiamo, portiamo con noi l’idea della casa, un’idea invisibile ma di grande forza. Per salvaguardare la nostra sanità mentale e la continuità delle nostre emozioni non dobbiamo necessariamente rimanere nella stessa casa o nello stesso luogo, ma abbiamo bisogno di una solida struttura interiore, e questa struttura è costituita anche da ciò che avviene fuori di noi. Il dentro e il fuori delle nostre vite sono i gusci dove impariamo a vivere.


Quando me ne sono andata da casa, a sedici anni, ho comprato un piccolo tappeto. Era il mio mondo arrotolato.
Lo srotolavo in qualunque stanza, in qualunque alloggio provvisorio dove mi sia capitato di abitare. Era la mappa di me stessa. Invisibili agli occhi degli altri, ma racchiuse nel tappeto, erano tutte le stanze in cui avevo vissuto, per qualche settimana, per qualche mese. Quando dormivo per la prima volta in un luogo estraneo, mi sdraiavo sul letto e traevo conforto nel guardare il tappeto: mi ricordava che avevo tutto ciò che mi serviva, anche se quel che avevo era così poco.




Clara Luiselli | HOME SWEET HOME (frigorifero) | coperta da viaggio ricamata | 

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